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LA LOTTA DI LIBERAZIONE NELL’APPIO TUSCOLANO E A S. GIOVANNI - LUOGHI, FATTI, UOMINI E DONNE parte 2

LA LOTTA DI LIBERAZIONE NELL’APPIO TUSCOLANO E A S. GIOVANNI
LUOGHI, FATTI, UOMINI E DONNE

SECONDA PARTE  

1 - VIA RASELLA E LE FOSSE ARDEATINE
2 - LE RIVOLTE PER IL PANE
3 - SANTA MARIA MAGGIORE E DINTORNI
4 - LO SBARCO AD ANZIO
5 - L'INGRESSO DEGLI ALLEATI.ROMA LIBERATA
6 - BIBLIOGRAFIA

I fatti e le vicende che vengono qui riportate sono tratte dal volume ROMA OCCUPATA, 1943-1944 di Amedeo Osti Guerrazzi e Anthony Majanlahti, edita dalla casa editrice Il Saggiatore nel 2010.
Le vicende e vengono narrate partendo dai luoghi, dagli edifici, dai quartieri e dalle strade. 
La Seconda parte si apre con l’eccidio delle Fosse Ardeatine, antiche cave di pozzolana, parte oggi del Parco Archeologico dell’Appia Antica.  Prosegue con alcuni fatti accaduti nei pressi della Basilica di Santa Maria Maggiore, con l’assalto ai forni, anche se non avvennero nel territorio dell’Appio tuscolano, per concludersi con l’arrivo degli alleati il 4 Giugno del 1944.  

1 - VIA RASELLA E LE FOSSE ARDEATINE
Facciamo soltanto un cenno all’eccidio delle Fosse Ardeatine che può essere approfondito nel testo citato e in altri come “L’ordine è già stato eseguito” di Alessandro Portelli, pubblicato nel 1999 per la casa editrice Donzelli. La strage nazista compiuta a Roma il 24 marzo del 1944 ha lasciato una traccia profonda nella memoria della Lotta di Liberazione a Roma. Una rappresaglia voluta dal comando tedesco e da Hitler stesso come risposta all’attentato partigiano di Via Rasella in  cui morirono 33 soldati tedeschi.  Dieci per ogni soldato tedesco ucciso. Questo era l’ordine del comando ne furono aggiunti altri per dare il segno di una punizione esemplare. A cadere sotto il piombo tedesco furono 335 persone, generali, straccivendoli, commercianti, artigiani, operai, intellettuali, un prete, 75 ebrei, monarchici, azionisti, liberali, comunisti ma anche persone che non avevano alcuna appartenenza politica.  
Un fatto emblematico, come scrive Portelli, che lega “tutte le storie” della Resistenza romana.  Un atto di guerra partigiana su cui non sono state risparmiate critiche e polemiche. L’automatismo tra l’azione partigiana e la rappresaglia sconfessa quanto sostenuto, allora e non solo, da alcuni che se i responsabili dell’attentato si fossero consegnati ai tedeschi, sarebbero state risparmiate tante vittime innocenti. 
Ma non vi furono né il tempo, né formali richieste da parte del comando tedesco per l’autodenuncia.  Le polemiche si riaccesero quando Priebke subì il processo, che ebbe inizio nel 1997, dopo la sua cattura in Argentina dove si era rifugiato nel dopoguerra. 
Fu dichiarato colpevole e condannato dal Tribunale militare di Roma a 15 anni di reclusione. Seguirono appelli e ricorsi, ma la Corte di Cassazione nel 1998 riformò la sentenza di primo grado e sentenziò la condanna all’ergastolo. 
Pochi mesi dopo, anche a causa della sua età avanzata, a Priebke venne concesso di scontare la pena in regime di detenzione domiciliare. 
Fu ospitato in un appartamento di 100 m² a Roma, di proprietà dell'avvocato Paolo Giachini che lo accudì personalmente negli ultimi anni di vita.
Una vicenda che conferma ancora una volta la difficoltà nel dopo guerra a fare giustizia. 
Le vicende personali dei superstiti e dei protagonisti di quell’eccidio (a sopravvivere e a ricordare sono soprattutto le donne), scrive Portelli nel suo libro, mostrano come tutti abbiano convissuto, e convivano ancora, con una drammatica eredità. Ancora oggi le Fosse Ardeatine rappresentano un banco di prova della coscienza delle nuove generazioni. 
Le voci, raccolte con scrupolo da Alessandro Portelli, ci restituiscono un racconto di grande respiro corale che si fa storia: una storia parlata

2 - LE RIVOLTE PER IL PANE
Nell’aprile del 1944 la situazione era disperata. I romani morivano di fame oltre che vivere sotto il terrore dei rastrellamenti e dei soprusi. Davanti alle panetterie scoppiarono le rivolte per il pane. Davanti a quelle requisite per rifornire le truppe tedesche. Cento grammi di pane al giorno per chi aveva la tessera annonaria non bastavano e chi non aveva la tessera non riceveva neanche quella razione. Era un modo per punire una città che non voleva collaborare con gli occupanti e i fascisti. 
Il 1° aprile in Via Luigi Tosti, nei pressi di via Appia Nuova, ci fu la prima rivolta. A seguire, il 6 aprile, un assalto ad un camion che portava il pane alle caserme e nello stesso giorno l’assassinio da parte di un poliziotto di una donna, Caterina Martinelli, madre di 7 figli davanti ad una panetteria nel quartiere Tiburtino. 
L’episodio più tragico avvenne all’Ostiense, al Ponte di Ferro. Donne e ragazzini assaltano il forno Tesei, un deposito di pane per rifornire le truppe tedesche. Soldati delle SS e militi della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) sul ponte catturano e abbattono dieci donne a raffiche di mitra. Era la mattina del 7 aprile del 1944. 
Alla fine del ponte fu eretto un monumento, una stele con dieci figure di donne in rilievo con i nomi delle donne uccise, grazie all’impegno di Carla Capponi e dell’Udi.  Per ordine dei tedeschi i corpi furono abbandonati per l’intera giornata circondati da sacchi di farina e pagnotte. Un monito per la città. 
Ma questo massacro non fermò altri attacchi ai forni: in via Alessandria- in Val Melaina- p.zza Regina Margherita. Anche il deposito di grano del principe Aldobrandini ai Parioli subì un saccheggio. Gli ultimi mesi di occupazione furono quelli più duri per la fame e le privazioni. 

3 - SANTA MARIA MAGGIORE E DINTORNI 
Poco distante dalla basilica di S. Maria Maggiore, in via Principe Amedeo, c’era la PENSIONE OLTREMARE, che trasformò la strada in un luogo di morte e orrore. 
Dopo la conquista di Roma, nel 1870, era una zona rurale suddivisa in lotti dove si cominciarono a costruire grandiosi condomini in stile rinascimentale che rispondevano alle esigenze dei nuovi burocrati del Regno. Ma la vicinanza della stazione Termini e i numerosi immigrati, attratti dalla nuova capitale, contaminarono l’area che non rispondeva più pienamente alle aspettative dei nuovi dirigenti e amministratori del Regno.  la zono, quini, si trasformò accogliendo pensioni e alloggi per turisti italiani e stranieri. 
La famigerata PENSIONE OLTREMARE si trovava in quest’area. Fu la prima sede della più famosa banda fascista: la Banda Koch. 
Dal gennaio all’aprile del 1944 la Sezione Special della Banda Koch occupò la pensione sull’esempio di via Tasso. 
La pensione occupava tre appartamenti del quinto piano. Oggi è la sede di Radio radicale. 
La banda, che aveva  il nome del suo leader, era composta da personaggi eterogeni: ex fascisti- criminali di basso rango-altri attratti dal fascino del potere e della violenza. C’era anche un ex monaco, Don Ildefonso, Alfredo Troya Epaminonda, conosciuto perché suonava motivetti allegri al piano durante le torture delle vittime. Non ci soffermiamo sui racconti e le testimonianze di chi è passato in quelle stanze o di chi sentiva i lamenti.
Fu portato alla PENSIONE OLTREMARE l’eroico ufficiale di polizia infiltrato Maurizio Giglio. Il 17 marzo fu catturato e portato in una delle celle della pensione. Il suo contatto americano Peter Tompkins aveva saputo che Giglio si trovava in quella pensione e con altri agenti avevano deciso di irrompere nella pensione per liberare il poliziotto. Volevano preparare una esplosione ma non fecero in tempo perché Giglio trovò la morte alle Fosse Ardeatine. 
Il progetto dell’esplosione fu abbandonato perché ritenuto irrealizzabile. 
Ma la PENSIONE OLTREMARE non fu più sufficiente per accogliere le vittime della banda Koch. Fu così che nel marzo del 1944 la banda si trasferì in un altro spazio, un edificio singolo, la pensione Jaccarino, in via Veneto. 

4 - LO SBARCO AD ANZIO.
La campagna in Italia, diretta dal feldmaresciallo Kesserling, a detta degli storici fu un capolavoro di arte della guerra. 
Le forze tedesche, inferiori agli alleati per uomini e mezzi, si avvalsero dei vantaggi di un terreno montagnoso, impervio e su una stagione inclemente. 
Per gli alleati l’Italia era diventata un fronte secondario giacché avevano deciso lo sbarco decisivo in Normandia (6 giugno 1944). 
Per i romani i bollettini di guerra che segnalavano lo stallo degli angloamericani sulla linea Gustav erano uno stillicidio. 
Una canzoncina popolare recitava: 
E passano i giorni
Lo sbarco non viene
Aumentano le pene
Ci sembra di morir
Una vena di speranza si accese per i romani il 22 gennaio del 1944 con lo sbarco degli alleati ad Anzio. dopo gli insuccessi sulla linea Gustav gli alleati sbarcarono sulla costa laziale, ma anche questo piano fu congegnato male. John Luca, comandante americano della 6° armata, gestì la situazione con molta timidezza. Si ricorda una frase famosa di Churchill: «Speravo di lanciare sulla spiaggia un gatto selvatico, e mi sono ritrovato una balena arenata». L’offensiva di Lucas fu molto lenta e consentì a Kesserling di bloccare il nemico sulla cosiddetta testa di ponte.
Gli angloamericani rimasero così bloccati ad Anzio e sul fronte di Cassino. 
I media fascisti fruttarono ancora una volta l’occasione per esaltare l’esercito tedesco e i tedeschi fecero sfilare per le strade di Roma alcuni prigionieri americani. L’eterogeneità dei prigionieri americani fu sfruttata dalla propaganda fascista per ribadire l’inferiorità razziale delle truppe alleate. 
Per i cittadini romani le notizie dei due fronti e queste dimostrazioni di forza furono un ulteriore motivo di frustrazione.
L’arrivo della primavera sbloccò le operazioni offensive degli alleati. 
Dopo la caduta di Cassino, 17 maggio, l’Armata britannica e il 6° corpo d’Armata americano ripresero l’iniziativa. Era il 23 maggio del 1944. Sul campo di battaglia le vittime furono numerose. Ma oggi niente è rimasto, fatta eccezione per una statua dedicata ad una bimba di 5 anni, Angelica, uccisa da una granata in una trincea scozzese dove un soldato l’aveva portata per proteggerla.  

5 - L'INGRESSO DEGLI ALLEATI.ROMA LIBERATA
I romani, attaccati a Radio Londra e Radio Bari, erano in ansia. Aspettavano  da un momento all’altro l’annuncio dell’ingresso degli alleati in città. Intorno al 2/ 3 giugno erano state segnalate le prime avvisaglie della ritirata tedesca, come pure la fuga dei gerarchi fascisti. Il federale di Roma, Luigi Pasqualucci, insieme ad altri suoi complici, si erano dati appuntamento, il 3/4 a giugno, in via Veneto, cercando rifugio e protezione tra le truppe tedesche. La banda Koch abbandona la capitale. I tedeschi, nel caos più totale, presero alcuni prigionieri di via Tasso e  li  trucidarono  in via Cassia, a La Storta. 
Intanto per viale Margherita, Liegi e Parioli la gente assiste ad una sfilata di cannoni, carri armati, autocarri, pezzi di artiglieria, carri colmi di roba rubata dalle carrozzine per i bambini, a mobili, letti, materassi. Tutti diretti a Nord. 
Sasà Bentivegna, Paolo Monelli e altri fanno lo stesso racconto: soldati isolati, senza armi, senza comandanti che si accasciano e pronunziano parole incomprensibili ma con un atteggiamento che non nascondeva la disperazione. 
Paolo Monelli descrive così il primo contatto con gli americani: 
«La sera scende limpida e fresca. Il crepuscolo si è fuso con il chiarore della luna che sorge.  Rientrano a casa i cittadini, disciplinati, all’ora del coprifuoco; ma indugiano sulle soglie, stanno alle finestre, tendono l’orecchio al grande silenzio. Ed ecco scoppi di combattimento vicinissimo, battere di mitragliatrici.  E di nuovo silenzio, limitato da un lontano brontolio di motori. […] Sentiamo d’un tratto venire da via Veneto un batter di mani, grida di evviva. Davanti all’Excelsior c’è un piccolo gruppo eccitato di persone, dicono che sono passati tre o quattro carri armati inglesi o americani, non sanno bene: ringraziavano per gli applausi, pregavano che non gli si facesse perdere troppo tempo, chiedevano la via per Ponte Milvio, dovevano subito buttarsi dietro i tedeschi. Piazza Barberini è deserta, chiara nella luce della luna. Un enorme carro armato è fermo all’angolo delle Quattro Fontane: quando ci arriviamo, vediamo una fila di carri armati su per la salita, fermi. C’è attorno un brusio, d’una piccola folla curiosa, alacre, che non grida, che non acclama. Un soldato altissimo, magro, è in piedi a terra davanti al primo carro, mastica qualcosa. La gente lo guarda e non dice niente. 
Chiedo: Where are you from?- From Texas-risponde.
Arrivano due ragazze con una bandiera tricolore in mano, la danno al soldato. Il soldato si volge verso i suoi compagni, seduti in cima al carro e dice: Here is a flag. Un soldato stende la mano, afferra la bandiera e la issa sulla torretta». 
Tanti sono i racconti ma tutti fotografano l’entusiasmo dei romani che vanno incontro ai carri armati degli alleati. 
A S. Lorenzo padre Libero Raganella racconta il suo primo contatto entusiasmante con gli americani: gente che si precipita in mezzo alla strada, che grida e sventola bandiere rosse mentre grida: Viva gli americani. Incredulo chiede ad un gruppo di persone: Ma sono proprio americani? 
Ivanoe Bonomi, Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), tra i rifugiati  al Laterano, scrive nel suo Diario che la fine dell’occupazione e del neofascismo è vissuta come una tappa per il trapasso dei poteri e il cambio della guardia nel governo. Bonomi si autolegittima come il nuovo rappresentante della classe politica. 
Fu un delirio, si racconta e si vede nei filmati d’epoca. A Porta S. Giovanni entra nella piazza un carro Armato degli Alleati, si ferma tra la facciata della Basilica e la statua di S. Francesco. I cittadini gli corrono incontro e viene issata la bandiera italiana.  
La piccola folla dei rifugiati al Laterano si stringe intorno a Bonomi e lo acclama.
Il generale americano Mark Wayne Clark visve  la sua giornata di trionfo. Aveva battuto sul tempo gli inglesi. Un ingorgo, forse appositamente creato, aveva bloccato gli inglesi sulla Casilina. 
Anche il generale americano fu vittima di un fraintendimento stradale. La sua Jeep finisce  a p.zza S. Pietro invece di raggiungere il Campidoglio. 
È un ragazzo in bicicletta che lo accompagna, precedendo e urlando alla gente di fare strada. Il generale raggiunge  così i suoi comandanti di Corpo d’Armata.  
Nella piazza del Campidoglio, palcoscenico unico e straordinario, improvvisa una conferenza stampa rispondendo ai giornalisti assiepati nella piazza. Nella sua dichiarazione dimentica  di menzionare l’8° Armata Britannica. Una gaffe di cui non si scusò mai!
Roma era stata liberata ma la Lotta di Liberazione imperversava  ancora nel Nord d’Italia e i fascisti della  Repubblica di Salò continuavano a mietere vittime e dare manforte ai tedeschi per  le tante stragi che si susseguirono in quei lunghi mesi prima del 25 aprile e della resa finale dei tedeschi.   

6 - BIBLIOGRAFIA
Numerosi sono i libri, i film e i documentari che raccontano l’Occupazione  di Roma. Qui ne citiamo solo alcuni, lasciando a noi tutti la curiosità e il desiderio diattivare  una nostra ricerca personale. 
Si consiglia di vedere, oltre ai film di repertorio, anche  il film Anno uno, 1974 diretto da Roberto Rossellini, basato sugli  appunti biografici di Alcide De Gasperi,   che si sofferma sul periodo che va dall’occupazione di Roma fino alla conclusione del governo di De Gasperi, passando attraverso le vicende dei governi dell’Italia Liberata fino alle elezioni politiche negli anni dell’Italia Repubblicana.  
Calamandrei Franco, La vita indivisibile, Diario 1941-1947, Editori  Riuniti, Roma 1984.
Capponi Carla, Con cuore di donna, Il Saggiatore, Milano 2000. 
Forcella Enzo, La resistenza in convento, Einaudi, Torino 1999.
Mogavero Giuseppe, I muri ricordano, Massari, Roma  2002. 
Musu Marina e Polito Ennio, Roma ribelle, Teti, Milano 1999.
Portelli Alessandro, L’ordine è già stato eseguito, Donzelli, Roma 2005.
Settimelli Wladimiro (a c. di), Processo Kappler, l’Unità, Roma 1994. 
Trabucco Carlo, La prigionia di Roma, Seli, Roma 1945.
Trombadori Antonello, Trent’anni di vita e di lotte del Pci, in Quaderni di Rinascita, 2, 1978.

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